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Internet “libero” potrebbe avere i giorni contati

martedì, 28 Novembre 2017

Fino a pochi anni fa, la linea internet più diffusa era la 56K e la connessione incideva sulla bolletta telefonica in misura dell’utilizzo di internet. Oggi, invece, abbiamo linee veloci e offerte che ci permettono di navigare 24h/365 giorni l’anno ad un costo fisso indipendentemente dall’utilizzo che ne viene fatto (ascoltare musica, guardare film, navigare, ecc..).

(Leggi anche “FTTH: la soluzione per scaricare film in 4k in meno di 2 minuti“)

La rete è quindi “neutrale”, cioè non fa discriminazione del traffico dati: se un contratto prevede 100Mbs in download, l’internauta potrà navigare a quella velocità su qualsiasi sito o accedere a qualsiasi piattaforma di audio o video streaming, senza limitazione alcuna da parte del provider internet (ISP).

In quasi tutti i paesi del mondo (fatta eccezione per quelli in cui vige un regime totalitario) esistono regolamentazioni che impediscono agli ISP, come le compagnie telefoniche, di discriminare il traffico dati, cioè limitare la velocità (banda) a seconda del servizio richiesto.

Negli Stati Uniti la neutralità della rete è messa in pericolo da una proposta presentata dal presidente della FCC (Federal Communication Commission), che di fatto smantellerebbe l’attuale “Net-neutrality” del paese.

Se tale proposta dovesse passare, si potrebbe arrivare ad un controllo indiretto di Internet, perdendo di fatto la “democrazia della rete”.

Con l’abolizione della net neutrality, sarebbe molto difficile ad esempio per un giovane squattrinato con la passione per la tecnologia creare il nuovo “Facebook” o il nuovo “WhatsApp. E la ragione è molto semplice: concedendo ai provider la discriminazione dei dati, questi ultimi potrebbero fare accordi di esclusiva con i big della tecnologia, limitando la banda per siti e servizi concorrenti, rendendoli di fatto poco attraenti o addirittura inutilizzabili.
L’ultimo arrivato, quindi, potrebbe non avere il potere contrattuale per poter competere con brand del settore già affermati.

Lo scenario potrebbe essere il seguente: l’utente sottoscrive un contratto con un ISP che fornisce collegamenti fino a 1Gbps, tuttavia, se desidera guardare film in streaming utilizzando la velocità massima per cui ha pagato, dovrà utilizzare (per esempio) Netflix, società privata con la quale il provider ha stipulato un accordo. Se, invece, l’utente preferisce guardare i contenuti su altre piattaforme, ad esempio quella creata da qualche piccola start-up, potrà farlo soltanto ad un quarto della velocità (con conseguenze sulla qualità e la fluidità della visione), indipendentemente dal fatto che abbia un abbonamento Premium per quel servizio.
Nello scenario peggiore l’ISP potrebbe addirittura bloccare i contenuti provenienti da piattaforme con la quale non ha accordi.

Il caso che in Europa più si avvicina allo scenario appena ipotizzato, è quello dell’operatore portoghese MEO, che discrimina il traffico dati e ha creato dei pacchetti acquistabili separatamente in base alle necessità, oppure si possono utilizzare le applicazioni dell’operatore in maniera gratuita.

Negli ultimi anni, anche l’Unione Europea si è dotata di un regolamento sulla net neutrality, stabilendo limiti e condizioni per gli Internet Service Provider, concedendo soltanto alcune deroghe agli operatori mobili, per via della diversa natura delle reti mobili. È proprio grazie a queste deroghe che l’operatore telefonico portoghese, può proporre legalmente le sue tariffe.

L’esito delle vicenda negli Stati Uniti, non influenzerà (direttamente) gli internauti del resto del mondo, tuttavia, c’è il timore che un cambiamento così radicale negli Stati Uniti possa portare nel tempo a revisioni delle attuali regole anche in Europa.

Che sia questo l’inizio di una “dittatura digitale” in cui il potere di internet è affidato a poche multinazionali?
Per sapere come si evolverà la vicenda negli U.S.A., dovremo attendere il 14 Dicembre, giorno in cui si voterà per l’approvazione della riforma.